VAL COMELICO DAL 2009 PATRIMONIO UNESCO
DAL 26 GUUGNO 2009 LE DOLOMITI SONO PATRIMONIO MONDIALE DELL’UMANITA’ UNESCO
GRAZIE ALLA LORO BELLEZZA E UNICITÀ PAESAGGISTICA ALL’IMPORTANZA SCIENTIFICA A LIVELLO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO
La Val Comelico, fa parte di questo Patrimonio, circondata da vette dolomitiche di eccezionale bellezza, presenta da ogni angolazione cime ineguagliabili: il Gruppo del Popera,nell’ area cuore del patrimonio Unesco, con Cima Bagni, Cima Undici, Croda Rossa ed i suoi satelliti, il Vallon Popera,la cresta di confine con il Monte Cavallino e il Peralba.
La vastità degli spazi, il silenzio e la bellezza dei boschi, oltre alla ricchezza della vegetazione e della fauna offrono un ambiente incontaminato.
Sia d’estate che d’inverno la Val Comelico propone una vacanza a dimensione d’uomo dove l’accoglienza e il calore locale sono determinanti nella proposta turistica
La Val Comelico offre cultura, relax, gastronomia e per il tempo libero sport con escursioni in valle e in quota arrampicate, percorsi di mountain bike, gite a cavallo il tutto accompagnato da intensi panorami che riequilibrano il corpo e la mente.
E per l’inverno… lontani da luoghi sovraffollati di turisti, potrete godere appieno delle favolose piste da sci alpino che da Padola raggiungono i 2000mt di Col d’la Tenda e sono collegate con il comprensorio sciistico Alta-Pusteria, 115 km di discese in un ambiente di incomparabile bellezza.
E non dimentichiamo Le piste per lo sci di fondo da Padola a Valgrande, si snodano per 54 km tra suggestivi boschi di abete rosso in una natura incontaminata, sono perfette sia per la tecnica classica che per lo skating e sono inserite negli oltre 1300 km di piste del Dolomiti Nordic Ski.
Inoltre escursione sulla neve a piedi con le racchette da neve “ciaspe o ciaspole”, per scoprire la valle di giorno o al chiaro di luna, da soli o in gruppo, “galleggiando sulla neve”e divertendosi in compagnia. Un pieno di energia e sport, da chiudere in bellezza, assaporando un caldo vin brulè e gustando i deliziosi piatti tipici: casanzei”, Kneili”, “mos”, “pastin di Capriolo” e minestra d’orzo”.
Infine il Carnevale,particolarmente sentito a Comelico Superiore, con la tradizionale “Maskrada”: antico rito del travestimento con le raffinate e coloratissime maschere “ matazin” e “lachè” e classica sfilata tra le vie del paese con balli e musica di grande fascino.
Luoghi da visitare
- I sentieri tematici del Comelico Superiore
TRÒI DLI MASCRI (SENTIERO DELLE MASCHERE) Dosoledo – Fienile di Bigaran
Il Tròi dli mascri propone uno dei temi più caratteristici della nostra tradizione: il Carnevale. Una ventina di sculture in larice nostrano scolpite abilmente dai nostri artigiani, sfideranno le stagioni e gli anni a venire per accompagnare, a loro modo, il procedere del viandante. Il Carnevale, tempo di magia, di suoni, di colori osservati in incognito da due semplici fori di una maschera di legno, per dimenticare un anno di fatiche; una breve, spensierata parentesi che si chiude, non a caso, con l’inaspettata apparizione del Cristo sofferente a richiamarci, con la Quaresima, alla realtà della fatica quotidiana.
TRÒI DLI TRADIZION (SENTIERO DELLE TRADIZIONI) Candide – Dosoledo
Il Tròi dli tradizion vuole rappresentare i temi culturali più caratteristici della nostra Comunità, un racconto scolpito con passione nel larice dai nostri artigiani.
Alcune tradizioni, tanto care ai nostri avi, continuano ad appassionare le nuove generazioni, altre nel corso degli anni si sono perse ma non per questo dimenticate.
La Regola, il Rogo della Muta di metà Quaresima, il carro dei coscritti, le processioni, l’Ardoia, o ancora il suono dei ciampanotti nelle festività natalizie, tradizioni di carattere religioso ma anche profano che le sculture ci vogliono raccontare accompagnandoci in queste passeggiate immersi nella natura.
Alcune tradizioni, tanto care ai nostri avi, continuano ad appassionare le nuove generazioni, altre nel corso degli anni si sono perse ma non per questo dimenticate.
La Regola, il Rogo della Muta di metà Quaresima, il carro dei coscritti, le processioni, l’Ardoia, o ancora il suono dei ciampanotti nelle festività natalizie, tradizioni di carattere religioso ma anche profano che le sculture ci vogliono raccontare accompagnandoci in queste passeggiate immersi nella natura.
TRÒI DI BACANI (SENTIERO DEI CONTADINI) Casamazzagno – Dosoledo
Questo sentiero vuole ricordarci le fatiche di un tempo, il lavoro nella stalla, nei campi, nei prati e nei boschi. Quanto occorreva per ricavare dalla terra l’indispensabile per la vita delle generazioni che per quasi un millennio hanno vissuto in questo territorio. Di quelle attività rimangono testimoni i fienili che punteggiano i prati bassi e i barchi, i piccoli fienili di alta montagna dove trovava posto il fieno di scorta per la stagione invernale. Un percorso suggestivo che ci riporta indietro nel tempo, quando le donne attingevano l’acqua alla fontana con i secchi di rame, quando nei campi si coltivavano orzo, segale e lino, quando i prati venivano falciati con la falce e la caccia veniva praticata per necessità.
TRÒI DI MESTIERI (SENTIERO DEI MESTIERI) Padola – Dosoledo
Il Tròi di mestieri e le sue sculture ci descrivono i lavori che caratterizzano la nostra valle. Alcuni di questi mestieri non vengono più praticati, sia perché le nuove attrezzature hanno ridotto tempo e fatica, sia perché la società moderna ha ormai esigenze diverse. Le scarpe una volta rotte non vengono aggiustate ma sostituite con un paio nuovo, non si sente più la voce del Mulèta che richiama le donne con le forbici e i coltelli da affilare. Le nuove professioni sostituiscono le fatiche d’un tempo; al clompar, al mulnei, al fauru, al scarper, mestieri che restano nella memoria di chi li ha svolti e di chi, grazie a questo sentiero, può conoscerli ed apprezzarli.
- La stua
Il manufatto della “Stua” è forse il più antico, certamente l’ultimo rimasto ed unico testimone ancora integro dell’antica via del legname lungo l’asse del Piave, una storia certa di almeno 500 anni, che ebbe impulso con l’affermarsi della Repubblica di Venezia, la Serenissima.
Fino alla fine dell’ottocento il Cadore forniva, mediante il trasporto per via fluviale, il legname necessario per la costruzione delle navi e dei palazzi Veneziani.
I tronchi venivano fluitati lungo il fiume Piave, la “stua” di Padola, sbarramento o chiusa che consentiva l’accumulo dei tronchi e l’avvio della fluitazione lungo il torrente Padola ed il Piave, la maggior parte sino al “cidolo” di Perarolo di Cadore, da qui i tronchi proseguivano il loro viaggio trasportati su zattere fino alle segherie della pianura ed a Venezia.
La Stua attuale è alta ca. 16 metri, ha uno spessore di 6 metri, ed una lunghezza al coronamento di ca. 30 metri. Fino ad inizio novecento presentava la sovrastruttura in pietrame e legno con la copertura in scandole di larice come chiaramente visibile nella fotografia di copertina.
Nel 1999 il comune di Comelico Superiore ha provveduto alla ricostruzione della sovrastruttura in legno. Ora il Consorzio Turistico sta attuando un progetto per la valorizzazione della “stua”, comprendente un’area museale che evidenzi la funzione di attrazione storico-culturale e didattica, riguardante la fluitazione del legname partendo dall’albero e dalle lavorazioni nel bosco.
Incontrare il dispendio gravissimo di tale riedificazione. Nel 1813 il Cadore passò dal dominio Francese a quello Austriaco e vi rimarrà fino al 1866. Il 2 gennaio 1815 presso il Dipartimento Adriatico di Venezia si attesta che: l’esser cosa universalmente notoria che l’edificio “Stua” di proprietà di Ca’ Gera esistente sul fiume Padola sia di antichissima istituzione e conta secoli di continuo esercizio. E’ del 30.8.1817 la convenzione fra i Comuni di Candide, Comelico Superiore e la Famiglia Gera riguardo alla norma da osservarsi nella condotta del legname a mezzo della “stua” sul Padola. Nel 1818, su disegno dell’architetto Vittore Maria nob. Gera di Giuseppe e di Antonia contessa Miari, intraprende il grande lavoro in pietra viva della “stua” sul torrente Padola, la cui spesa ammontò a ben venete lire 300.000, conclusa nel 1919.
E’ del 1919 l’epistola del Conte Francesco Miari al Signor Vittore Gera di Candide, in cui si elogia la sua capacità progettuale (il paragone con Sostrate progettista del Faro di Alessandria) per la grandiosa opera della “stua” con le versatili capacità tecniche delle genti comelicesi.
Nel 1839 si da inizio alla costruzione della strada cosidetta “della valle”, per la quale i comuni del Comelico spesero ca. un milione di lire austriache. La costruzione delle principali vie di comunicazione rotabili, con la grande strada detta d’Alemagna aperta nel 1824, determinò l’avvio della concorrenza tra vie fluviali, rotabili e più tardi quelle ferroviarie. Vittore Gera, l’architetto della nuova ”stua”, morì nel 1836. La “stua” cessò di funzionare regolarmente dopo le disastrose piene del 1882, in seguito ci fu un utilizzo saltuario.
- Le torbiere
Il SIC “Torbiere di Danta”
Il SIC IT3230060 “Torbiere di Danta” ha una estensione di circa 200 ha ed è ubicato ai limiti settentrionali dell’area dolomitica, su un promontorio che si stacca dal Gruppo delle Dolomiti di Sesto, proteso sulla valle del Piave e racchiuso a Nord-Est dal torrente Padola e a Sud-Ovest dal torrente Ansiei. L’altopiano al cui margine sorge l’abitato di Danta raggiunge una altitudine massima pari a 1.661 m.
Il complesso delle torbiere di Danta, insieme a quello della zona di Coltrondo in Comelico, rappresenta per numero di specie rare presenti, qualità delle cenosi e stato di conservazione uno dei siti di maggior rilevanza naturalistica e di interesse floristico-vegetazionale della regione Veneto. La sua relativamente recente conoscenza (anni ’90) lascia inoltre spazio a nuove possibili acquisizioni.
All’interno del SIC si riconoscono più biotopi torbosi tra loro distinti anche se a volte collegati da una rete di impluvi ed ambienti umidi di minor importanza. Tre sono le aree particolarmente significative per dimensioni e complessità ecologica. Una quarta torbiera di straordinario valore naturalistico, non è compresa nel perimetro del SIC, ma in quello più esteso della ZPS di recente ridefinizione (IT 3230089 “Dolomiti del Cadore e del Comelico).
Caratteristiche generali
II tracciato parte dalla strada provinciale n. 6 che conduce da Danta ad Auronzo di Cadore e, attraverso la zona torbicola presso la parte bassa della Val di Ciampo, chiamata anche “Pontigo”, e il bosco sottostante, si raggiunge la torbiera in zona Cercenà, congiungendosi a “Ponte Mauria” con la strada comunale che dall’abitato di Danta porta alla Madonna di Monte Piedo. Esso costeggia entrambi i siti torbicoli suddetti, riducendo al minimo l’impatto sia in fase di esecuzione sia di fruizione. La lunghezza totale del tracciato è di 1196 m con un dislivello di 60 m.
Link su: www.torbieredanta.info
- I Musei
Museo cultura alpina ladina del comelico – padola
Il Museo della Cultura Alpina del Comelico è situato nel palazzo delle ex Scuole Elementari in Largo Calvi a Padola, al secondo piano su di un’area di cinquecento mq ed è di proprietà della Regola di Padola.
Tale cellula museale è nata grazie ad una raccolta da parte del Sig. Evangelista De Martin, di materiali ed attrezzi messi a disposizione per lo più dalle famiglie del paese; a ciò si è aggiunta una serie di riproduzioni in miniatura dei mestieri e delle attività di una volta, curata in particolare dal Sig. Gilberto De Martin.
Osservando tutto ciò che il Museo custodisce, non soltanto con gli occhi, come scrive Evangelista, ma con la mente e ancor più con il cuore, possiamo farci un quadro di come sono state le nostre origini, la nostra cultura, la nostra storia e serbare un grato ricordo.
Questo Museo della cultura alpina può insegnare a riflettere ed a valutare la vita dei nostri predecessori, la capacità, l’impegno, la custodia, l’uso dei loro, anche se piccoli, patrimoni; la forza di volontà per poter mantenere intatti quei valori acquisiti con tanti sacrifici e privazioni.
Al suo interno il museo è suddiviso in aree, che affrontano in modo specifico temi quali : le abitazioni, l’agricoltura, l’emigrazione, i reperti bellici, le guide alpine, le maschere, i lavori boschivi e tanto ancora.
Questo Museo della cultura alpina può insegnare a riflettere ed a valutare la vita dei nostri predecessori, la capacità, l’impegno, la custodia, l’uso dei loro, anche se piccoli, patrimoni; la forza di volontà per poter mantenere intatti quei valori acquisiti con tanti sacrifici e privazioni.
Al suo interno il museo è suddiviso in aree, che affrontano in modo specifico temi quali : le abitazioni, l’agricoltura, l’emigrazione, i reperti bellici, le guide alpine, le maschere, i lavori boschivi e tanto ancora.
Museo Etnografico “La Stua” – Casamazzagno
Il museo etnografico di Casamazzagno, inaugurato il 25 luglio 1987 ha per scopo la raccolta di documentazione illustranti le caratteristiche e il genere di vita delle popolazioni locali,oltre alle loro tradizioni, gli usi e i costumi.
Museo Algudnei – Dosoledo
Il Museo Algudnei è un progetto culturale con il quale il Gruppo di Ricerche Culturali di Comelico Superiore e la Regola di Dosoledo si propongono di divulgare i risultati delle ricerche svolte sul proprio territorio e sulla cultura ladina del Comelico, con l’obiettivo di trasmettere la conoscenza e animare il dibattito locale. Il termine d’invenzione scelto per indicare questo progetto unisce in una sola le parole ladine algu=qualcosa, poche cose, diverse e collegate tra loro; e nei=noi.
Il Museo si snoda in un percorso tematico fra Carnevale, Regole e Rifabbrico. I contenuti sono esposti in modalità innovative: pannelli fotografici, video e applicazioni multimediali.
All’interno del Museo c’è anche una sala conferenze nella quale durante l’anno si tengono numerosi incontri di ogni genere: dalla presentazione di libri al teatro.
Museo Paleontologico – Danta di Cadore
Danta di Cadore, un paese geograficamente sorto al centro tra il Comelico e il Cadore, in un lembo di suggestiva natura, ha ora anche un Museo Paleontologico che, seppur piccolo, diventerà in breve tempo un’attrattiva culturale e didattica di notevole valenza anche per il territorio circostante.
Piccolo, ma significativo Museo che presenta una serie di reperti di notevole interesse scientifico e didattico, rivolto prevalentemente alle giovani generazioni come fondamentale supporto alla loro formazione. Fornisce le basi per potersi avvicinare e comprendere il complesso laboratorio che ha modellato e adattato la vita sul nostro pianeta nel corso delle ere geologiche. Allo stesso tempo, rappresenta un valido supporto per gli studiosi e per quanti intendono avvicinarsi alle conoscenze naturalistiche.
Piccolo, ma significativo Museo che presenta una serie di reperti di notevole interesse scientifico e didattico, rivolto prevalentemente alle giovani generazioni come fondamentale supporto alla loro formazione. Fornisce le basi per potersi avvicinare e comprendere il complesso laboratorio che ha modellato e adattato la vita sul nostro pianeta nel corso delle ere geologiche. Allo stesso tempo, rappresenta un valido supporto per gli studiosi e per quanti intendono avvicinarsi alle conoscenze naturalistiche.
L’idea del museo è del veneziano Bruno Berti, che da molti anni ha indirizzato le sue ricerche naturalistiche nel territorio di Danta evidenziando, tra l’altro, l’importanza delle sue incontaminate torbiere e la presenza di ben 26 specie di orchidee spontanee, raggruppate in 16 generi, che testimoniano l’unicità e l’interesse dei questo ambiente, da far conoscere e rispettare.
Per dare corpo a questa idea egli ha donato gran parte della sua personale collezione paleontologica, ma sarà soltanto grazie all’ulteriore e fondamentale apporto di eccezionali ed unici reperti, donati dal Centro Studi Ricerche Ligabue di Venezia, che si darà corso alla realizzazione del Museo “Le radici della Vita” di Danta di Cadore.
Per dare corpo a questa idea egli ha donato gran parte della sua personale collezione paleontologica, ma sarà soltanto grazie all’ulteriore e fondamentale apporto di eccezionali ed unici reperti, donati dal Centro Studi Ricerche Ligabue di Venezia, che si darà corso alla realizzazione del Museo “Le radici della Vita” di Danta di Cadore.
L’allestimento è stato portato a termine grazie alla collaborazione di Giancarlo Scarpa appassionato naturalista del Gruppo Scienze Naturali “C. Darwin” di Mestre.
Il museo vanta un reperto sicuramente eccezionale un cucciolo di dinosauro appartenente al genere Psittacosaurus colto dalla morte in posizione accovacciata e sorprendentemente completo in ogni sua parte anatomica.
Le eccezionali condizioni di conservazione hanno permesso di ipotizzare le cause che lo portarono alla morte e di ricostruire i probabili ultimi momenti della sua vita. Infatti, il reperto si presenta in posizione accovacciata, come di riposo. In un fossile eccezionalmente le ossa si presentano in connessione anatomica come in questo caso, il che significa che dopo la sua morte non sono intervenuti predatori o eventi geologici a scomporne il corpo. Il fossile presenta evidenti tracce di una predazione subita, infatti, alcune costole sono sconnesse ed è lecito supporre che proprio in quel punto abbia subito una grave ferita. Una volta sfuggito al suo aggressore, nascosto in qualche anfratto, per lui è giunta la morte. Successivamente il corpo è stato protetto da finissimi sedimenti fluviali che l hanno ricoperto e conservato perfettamente. Questo genere, che prende il nome dall’aspetto singolare del suo cranio e dalla forma del becco che ricorda quello di un pappagallo, è vissuto all’inizio del periodo Cretacico, circa 110 milioni di anni fa, nell’Asia orientale ed è il più antico Ceratope conosciuto.
Era un erbivoro bipede, lungo due metri, che possedeva delle lunghe zampe posteriori e zampe anteriori corte e forti adatte ad afferrare le fronde dei vegetali coriacei con cui si nutriva e poteva rizzarsi sugli arti posteriori per sfuggire, correndo ai molti predatori. Gli occhi e le narici erano posizionate nella parte superiore del cranio e la lunga coda controbilanciava la parte anteriore del corpo quando si rizzava sulla parte anteriore per correre. I n alcuni fossili di Psittacosauro si sono rinvenuti nella cavità gastrica, dei piccoli sassi lisci, detti gastroliti, che aiutavano lo stomaco nella macerazione dei vegetali, ne più ne meno di come usano fare alcune specie di uccelli attuali.
Le eccezionali condizioni di conservazione hanno permesso di ipotizzare le cause che lo portarono alla morte e di ricostruire i probabili ultimi momenti della sua vita. Infatti, il reperto si presenta in posizione accovacciata, come di riposo. In un fossile eccezionalmente le ossa si presentano in connessione anatomica come in questo caso, il che significa che dopo la sua morte non sono intervenuti predatori o eventi geologici a scomporne il corpo. Il fossile presenta evidenti tracce di una predazione subita, infatti, alcune costole sono sconnesse ed è lecito supporre che proprio in quel punto abbia subito una grave ferita. Una volta sfuggito al suo aggressore, nascosto in qualche anfratto, per lui è giunta la morte. Successivamente il corpo è stato protetto da finissimi sedimenti fluviali che l hanno ricoperto e conservato perfettamente. Questo genere, che prende il nome dall’aspetto singolare del suo cranio e dalla forma del becco che ricorda quello di un pappagallo, è vissuto all’inizio del periodo Cretacico, circa 110 milioni di anni fa, nell’Asia orientale ed è il più antico Ceratope conosciuto.
Era un erbivoro bipede, lungo due metri, che possedeva delle lunghe zampe posteriori e zampe anteriori corte e forti adatte ad afferrare le fronde dei vegetali coriacei con cui si nutriva e poteva rizzarsi sugli arti posteriori per sfuggire, correndo ai molti predatori. Gli occhi e le narici erano posizionate nella parte superiore del cranio e la lunga coda controbilanciava la parte anteriore del corpo quando si rizzava sulla parte anteriore per correre. I n alcuni fossili di Psittacosauro si sono rinvenuti nella cavità gastrica, dei piccoli sassi lisci, detti gastroliti, che aiutavano lo stomaco nella macerazione dei vegetali, ne più ne meno di come usano fare alcune specie di uccelli attuali.
Museo Etnografico Casa “Angiul Sai” – Costalta
L’idea di valorizzare l’antico patrimonio architettonico di Costalta nacque negli scorsi anni ottanta nell’ambito del “Comitato per il Museo della Cultura Alpina del Comelico”, costituito per la tutela delle tradizioni locali anche attraverso la costituzione di “cellule museali” sull’intero comprensorio. A Costalta, unico paese a conservare ancora numerosi esempi di dimore lignee, l’idea fu di acquistare uno dei fabbricati storici più significativi per restaurarlo e adibirlo a museo dell’architettura rurale montana.
Le caratteristiche costruttive e la distribuzione dei vani della casa “ÀNGIUL SAI” sono una cospicua testimonianza del modo di vivere fino alla metà del secolo scorso. Il fabbricato – uno dei rarissimi esempi rimasti delle dimore di tipo arcaico – si sviluppa su tre piani ed è diviso in due parti: la prima, con esposizione verso sud, è adibita ad abitazione; la seconda, con destinazione rurale, è situata nella parte nord e nel piano seminterrato. In termini tecnici si tratta dunque di una dimora unifamiliare unitaria cioè a destinazione mista.
Museo “Surrealismo” Regianini – Costalissoio
Il museo, che si trova a Costalissoio, una frazione di Santo Stefano di Cadore, è un museod’arte contemporanea inaugurato nel 2004.
Espone le opere dell’artista surrealista Luigi Regianini che lui stesso le ha donate ed è gestito dalla Regola di Costalissoio. L’allestimento è caratterizzato da tre sale espositive in cui sono presenti 35 tele dalle diverse tematiche:
nella prima sala denominata“Local Art” ci sono le opere illustranti in modo fantastico e simbolico le leggende, le storie locali nonché alcuni importanti personaggi del luogo;
l'”Horror Art” espone quadri contraddistinti da visioni crude e macabre del mondo incentrate su problematiche esistenziali e filosofiche, infine l’
“Harmony Art” descrive una concezione fantastica rivolta verso una realtà sognante e romantica.
21/11/2021 09:38:24
Nota stampa
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