Cortina, l’eredità di Lino Lacedelli e la pista che celebra una vita per la montagna.
Nel 2020 la società Impianti Averau di Cortina d’Ampezzo festeggia i 50 anni dalla sua fondazione, voluta dall’alpinista ampezzano insieme ad altre 11 guide alpine. Per ricordarlo, la città natia del conquistatore del K2 ha voluto dedicargli una pista tra le sue amate Cinque Torri. Domenica 14 gennaio l’inaugurazione, tra i protagonisti anche la figlia.
Di chi è la montagna? Di nessuno, e di tutti. Lo sappiamo noi, oggi, e lo sapeva Lino Lacedelli, lo Scoiattolo di Cortina che il 31 luglio 1954 raggiungeva il sogno di tutti gli alpinisti– il K2, coi suoi 8609 metri – cambiando per sempre la storia dell’alpinismo e della montagna stessa. Sessantasei anni dopo, tra le sue amate Cinque Torri, Cortina dedica alla sua memoria la nuova pista da sci Lino Lacedelli, che inaugurerà domenica 12 gennaio.
Ma se il tracciato di Cortina d’Ampezzo sarà intitolato a Lino Lacedelli è anche merito del suo ruolo di primo presidente della Società Impianti Averau, fondata il 27 febbraio 1969 per volontà sua e di altre 11 guide alpine (e Scoiattoli) di Cortina: Lorenzo Lorenzi, Silvio Alverà, Diego Valleferro, Sisto Zardini, Sergio Lorenzi, Bruno Menardi, Candido Bellodis, Ettore Costantini, Claudio Zardini, Marino Bianchi, e Giusto Zardini. A Lacedelli succedettero, in seguito, Giusto Zardini, Lorenzo Lorenzi ed infine Marco Zardini, l’attuale presidente.
“L’idea venne a me e Giusto Zardini – racconta Lorenzo Lorenzi – volevamo realizzare una seggiovia ma le Regole si opposero: troppi soldi, troppo pochi noi due. Allora ci venne in mente di creare una società finanziata da tutte le Guide Alpine di Cortina. Era il 1969: nasceva la società Impianti Averau. Lino, già a capo delle Guide, ne divenne quasi automaticamente il Presidente”.
Video inaugurazione
La Storia
Il primo maggio del 1969, mentre una piccola ditta di Sondrio costruiva l’impianto meccanico - una seggiovia monoposto – in una primavera particolarmente nevosa i lavori iniziavano con la sola forza delle braccia, una ruspa, una carriola alla volta. E un elicottero, il primo a portare in quota i piloni per costruire una seggiovia, tanto provvidenziale quanto inaspettato.
“Un gruppo di alpini era rimasto incrodato sulla Tofana de Rozes – ricorda Lorenzi – ma lo stesso soccorso che si precipitò ad aiutarli non riuscì più a scendere: e così salimmo noi. Una volta sani e salvi a valle finimmo per diventare amici. Dal Lei passammo al tu, da qualche bicchiere di vino passammo a stringere amicizia, e poi una collaborazione. E così l’esercito acconsentì ad aiutarci a costruire la funivia con il loro elicottero, un 204 con una pala sola. La inaugurammo il 14 febbraio 1970”.
Ma non finì qui. Da questa collaborazione nacque anche il soccorso alpino come lo conosciamo oggi (eccezion fatta per la gratuità dell’epoca): se era possibile trasportare in quota i piloni – si chiesero Lorenzi e Lacedelli – perché non portare le persone? Invece di salire, per il recupero in quota, perché non scendere? Iniziò così l’ascensione dei primi soccorritori trasportati sugli elicotteri militari, una vera rivoluzione in termini di tempo e praticità.
"Quella testa di Lino"
“Tutto questo non sarebbe stato possibile senza Lino – prosegue Lorenzi – o meglio, come lo chiamavamo noi, ‘Testa’. Lino aveva una caparbietà, un’ostinatezza fuori dal comune. Non ha conquistato il K2 per caso. Averlo avuto come compagno e come Presidente della società è stata una fortuna: quando si trattò di costruire la seggiovia, Lino, con il suo nome e le sue conoscenze, andò a bussare a tutte le porte. Riusciva sempre ad avere i permessi e ad ottenere quello che voleva. Un esempio? Negli anni ’70 in Italia non c’era cemento, per noi fondamentale, non si trovava da nessuna parte. Lino lo scovò a Reggio Calabria. E lo fece arrivare a Cortina”.
La tenacia di Lacedelli lo portò anche, cinquant’anni dopo la conquista del K2 nel 2004, a farvi ritorno. Con lui la figlia ed il genero, una squadra di portatori, un medico, un massaggiatore. Impiegarono 14 giorni per raggiungere il campo base a 5000 metri. Era il 2004, Lino aveva 79 anni.
Oltre la cima
L’eredità di Lino nei confronti della montagna è sconfinata, e va ben oltre la nota conquista di una cima. Perché la montagna, certo, non è di nessuno, ma il K2 è diventato per antonomasia la vetta degli italiani. Un sogno che tuttavia può diventare un incubo. E che necessita di un grande coraggio, quello di Lino, un uomo che anche nei momenti di massima avversità “traeva ancora dalle altissime qualità del suo forte animo l'energia sufficiente per giungere a piantare sulla seconda cima del mondo il tricolore d'Italia”.
L’immenso ottomila, conquistato assieme ad Achille Compagnoni nella spedizione coordinata da Ardito Desio, fu un colossale riscatto per il nostro Paese, ancora distrutto dal terribile conflitto mondiale di dieci anni prima, “un luminoso esempio delle più alte virtù di nostra gente”, come si legge nelle motivazioni al conferimento della medaglia d’oro al valore civile. Fu, questo, un modo per dimostrare che l’inventiva, la tenacia, la forza di Lino e dei suoi compagni potevano davvero essere qualità italiane - quelle stesse qualità che permisero la nascita della società Averau, del soccorso alpino, di un modo innovativo di costruzione degli impianti.
La società oggi
Alla presidenza degli impianti Averau c’è oggi Marco Zardini, che domenica farà gli onori di casa assieme ad Alberta Lacedelli, figlia di Lino, che "pianterà" il cartello con il nome della pista dedicata al padre. Il tracciato – una variante di 1.5 km della principale Cinque Torri – sarà usato per le qualificazioni alle gare. Si tratta di una pista innovativa, la prima pubblica in Italia, completamente attrezzata per gli allenamenti e pensata per il training degli atleti anche oltre i Mondiali di sci alpino 2021.